Dopo il dibattito sul Foglio Una piattaforma convincente che va al cuore dei problemi di Giorgio La Malfa L’ingegner Carlo De Benedetti ha scritto giovedì scorso sul "Foglio" che l’economia italiana è prigioniera da molto tempo di una bassa crescita e che la sola strada per uscire da questa condizione è una forte riduzione della pressione fiscale sulle imprese, sui lavoratori e sui consumatori. E’ una posizione di grande interesse sia per il ruolo nella vita economica dell’autore, sia per il peso che questa presa di posizione potrebbe avere nell’evoluzione delle idee della sinistra italiana. I repubblicani ricordano che, nella relazione al Congresso del Partito di Bari e in innumerevoli prese di posizione successive, io sostenni che il meccanismo della crescita italiana del dopoguerra si era sostanzialmente arrestato e che per riprendere il cammino appariva indispensabile una forte riduzione della pressione fiscale. L’incontro programmatico con il centrodestra avvenne, sul terreno economico, sulla base della condivisione del proposito di abbassare fortemente le imposte come elemento di stimolo della ripresa. Era chiaro allora – e lo è ancor più oggi alla luce della crisi della finanza pubblica in vari Paesi che sta mettendo a rischio la stessa costruzione dell’Unione Monetaria Europea – che la riduzione necessaria delle imposte poteva e doveva avvenire contestualmente con la riduzione delle spese correnti e che dunque presentava dei difficili problemi di consenso politico. Dopo molti anni di collaborazione leale con il centrodestra abbiamo dovuto constatare che quei propositi programmatici su cui si era largamente fondata la nostra alleanza non solo non si erano realizzati, ma non apparivano neppure suscettibili di una futura realizzazione. Erano stati semplicemente accantonati in attesa di momenti migliori. Ma se l’analisi è che non vi possano essere momenti migliori se non in presenza di un forte stimolo fiscale, non si tratterebbe di un rinvio ma di una rinuncia sine die foriera di un peggioramento ulteriore delle prospettive di crescita del Paese. Questa è, fra molte altre, la ragione principale dell’invito ai repubblicani a riconsiderare le prospettive politiche del Paese e il nostro ruolo nel promuoverle. Perché Silvio Berlusconi avrebbe rinunciato a questo punto programmatico? In una lettera al "Foglio" pubblicata sabato scorso ho avanzato l’ipotesi che nel 2000 Berlusconi sperasse di potere ripetere in Italia l’esperimento fatto molte volte negli USA e in particolare dai Presidenti Clinton e Bush di una riduzione delle imposte in deficit seguita da una espansione del reddito nazionale e da un introito fiscale tale da compensare o più che compensare l’incremento iniziale del deficit. Ma se questa era la speranza di Berlusconi, la realtà delle regole europee e soprattutto la misura del deficit e del debito pubblico italiano si sono palesati tali da non consentire questa operazione. Resta quindi l’esigenza della riduzione della pressione fiscale, indissolubilmente legata alla necessità di tagliare contestualmente la spesa corrente per finanziare. Questa è la nostra posizione. Come ho scritto molte volte, vi sono risparmi significativi delle spese correnti che possono essere fatti senza ridurre il livello delle prestazioni e dei servizi sociali. Per farlo però è necessario programmare bene gli interventi ed avere davanti a sé un tempo congruo di realizzazione. Sono inoltre necessari anche interventi di riduzione del debito pubblico attraverso l’alienazione di beni patrimoniali non essenziali per la conduzione delle attività pubbliche. Tutto questo richiede però il coraggio dell’impopolarità: la spesa pubblica corrente ha beneficiari che hanno nomi e cognomi e che possono minacciare di sottrarre il voto a chi si permette di toccarli. I vantaggi affluiranno domani. In questo è l’essenza del buon governo. Aggiungo che la difficile situazione interna del maggiore partito di Governo, situazione che lo svolgimento recente della Direzione nazionale si direbbe che abbia aggravato, non favorirà certo una maggiore iniziativa politica specialmente se questa richieda, come in questo caso, coraggio verso l’opinione pubblica o, magari anche, come nel caso dell’abolizione delle province o l’alienazione dei beni posseduti dagli enti locali, verso componenti della maggioranza. L’ing. De Benedetti offre alla sinistra italiana finalmente una piattaforma convincente che va al cuore dei problemi della ripresa dello sviluppo del nostro Paese. Intrecciare un dialogo con queste posizioni risponde non solo all’interesse dei repubblicani, ma anche al vero interesse del Paese. |